Sassofonista tenore e soprano, compositore, ottiene a soli 20 anni il suo primo ingaggio professionale di rilievo con il gruppo Area II guidato dal batterista fondatore della band Giulio Capiozzo. Nel 1995 viene premiato dalla rivista Musica Jazz come miglior nuovo talento. Da allora la sua carriera professionale si snoda tra Italia, Europa e il mondo intero. Ha suonato con: Clark Terry, Nat Adderley, Jimmy Cobb, Sting, Albert Heath, Benny Golson, Billy Cobham, Branford Marsalis, Joe Lovano, Aldo Romano, Enrico Rava, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi e molti altri. Ha all’ attivo 12 dischi a suo nome, più di 100 come sideman o co-leader. E’ l’unico artista europeo ad essere stato pubblicato da una delle più prestigiose etichette specializzate statunitensi, la Maxjazz (“Where or When”, 2013). Nel 2015, 2016 e 2017 ha vinto il Jazzit Readers Poll (indetto dalla rivista specializzata italiana Jazzit) come migliore Sax Tenore italiano.
Il suo lavoro discografico uscito nel 2018 per la Warner dedicato a Lester Young, “No Eyes” è stato votato tra i migliori 3 dischi dell’anno da Musica Jazz. Nel febbraio del 2022 compie una ulteriore e avvincente tournée in Russia spingendosi sino al Pacifico orientale, viaggiando da solo per tutto il paese e rientrando in Italia pochi giorni prima dello scoppio del conflitto con l’Ucraina. A giugno 2022 pubblica il suo primo libro dal titolo “A cosa pensi quando suoni?” per Blonk editore. Nel settembre 2022 ha pubblicato, sempre per la Warner, “FAR AWAY”, un affascinante progetto multimediale registrato e filmato a bordo di una barca a vela, con la partecipazione dell’attore Filippo Timi.
E’ docente di Sassofono Jazz al Conservatorio G. Verdi di Torino.


Come e da chi é nata l’idea di registrare “Far Away” in mare aperto

L’idea é maturata durante la pandemia. La Warner, con cui avevo gia fatto un paio di album, mi chiede di pensare ad un nuovo disco, io avevo in mente di andare a registrarlo a New York, insieme ai miei amici musicisti americani, ma all’improvviso ecco che arriva il lockdown e si ferma tutto. Non avevo assolutamente voglia di andare a registrare in uno studio al chiuso, in un momento così particolare e tragico e con il termine “distanziamento” che era sopra a tutto e tutti. Così mi sono venuti in mente due miei amici antropologi, che hanno una barca e gli proposi questa mia idea di registrare un album durante la navigazione. Loro furono subito entusiasti e lo stesso il mio produttore, con mia grande sorpresa. Questa più o meno é la genesi.

Filippo Timi e Emanuele Cisi

Come mai, per la voce narrante, hai scelto un attore come Filippo Timi

Dal primo momento in cui l’ho pensato, questo progetto l’ho visto subito come qualcosa di particolare, diverso dagli altri che avevo fatto fino allora. All’inizio avevo in mente di aggiungere un quinto strumento al quartetto già esistente, ma non riuscivo ad individuarne nessuno che mi piaceva. Fino a che ho capito che quello che cercavo era una voce, non cantante ma narrante, che parlasse del concetto della distanza, della lontananza. Ho iniziato a pensare a chi avrei potuto affidare questo compito, finchè grazie ad amicizie comuni non sono approdato a Filippo. Lui si é mostrato subito aperto e disponibile e si é entusiasmato tantissimo, quando gli ho raccontato di questa idea che avevo in mente e ha detto: “Assolutamente la voglio fare”. Andai in Val d’Aosta a conoscerlo di persona, aveva appena finito di girare il film: Le 8 Montagne, e fu un incontro piacevolissimo, lui é una persona molto affettuosa e comunicativa e mi chiese se potesse scrivere lui i testi e naturalmente io accettai subito. Gli mandai delle musiche e delle indicazioni per potersi ispirare e lui di suo pugno ha scritto tutto.

Il tuo album “No Eyes” era ispirato a Lester Young, per Far Away invece da dove hai tratto l’ispirazione.

Dalla lontananza. Volevo raccontare questo momento della pandemia, dell’isolamento che é stato credo per tutti anche motivo di riflessioni. Perciò con Filippo ci siamo chiesti che cosa é veramnete la distanza, che cosa può rappresentare a tutti i livelli, compresi i rapporti umani. Poi non sempre la distanza ha un eccezione negativa, i monaci che devono fare meditazione devono stare isolati e dasoli, anch’io quando suono, pur essendo con altri musicisti, suono da solo e devo avere una solitudine interiore per essere concentrato.

Emanuele Cisi

Come siete riusciti, tecnicamente, ad organizzare una registrazione su una barca a vela

E’ stato parecchio complicato. Ho fatto un sopralluogo qualche mese prima, facendo una mezza giornata di navigazione da solo con il sassofono e con il tecnico del suono, abbiamo fatto delle prove per capire quanto potesse incidere il vento nella registrazione, oppure il pavimento di legno della barca che si muove. L’esito del soprallogo é stato positivo, nel senso che abbiamo capito che si poteva fare magari con delle accortezze e un po’ di fortuna. In realtà si é messo di mezzo il tempo e dei tre giorni di navigazione, che avevamo programmato, siamo riusciti ad uscire in mare solo uno dove abbiamo registrato una parte dell’album. Per registrare l’altra parte, io, Filippo e i musicisti della band, Eleonora Strino, Marco Micheli ed Enzo Zirilli, ci siamo trasferiti in una villa a Pisa, per stare vicino al porto di Livorno dove era ormeggiata la barca. La villa era una location dove io, l’anno prima, avevo fatto un house concert un ambiente molto familiare, che ci ha consentito di fare molto gruppo e registrare perfettamente tutto il resto.

Parliamo un po’ di te, cos’é che ti ha spinto ad avvicinarti alla musica e come mai hai scelto il sassofono

L’incontro con il jazz é stato molto precoce, ad 11 anni un amico molto più grande di me mi portò ad un concerto di jazz, io avevo sentito a malapena qualche volta questa parola, ma non sapevo assolutamente di che cosa si trattasse. Eravamo nel 1976/77 e fu una folgorazione, una botta pazzesca e pensai immediatamente che, se mai un giorno decidessi di fare il musicista, questa sarà la musica che suonerò. Da lì cominciai ad ascoltare jazz sui dischi e a vedere concerti, finchè iniziai a chiedere ai miei genitori di mandarmi al conservatorio per studiare la musica e uno strumento. Purtroppo non avendo una tradizione musicale in famiglia non fui accontentato. Allora in V° ginnasio mi ribellai e dissi ai miei che, siccome non potevo andare al conservatorio avrei smesso di studiare e così fù. Allora mio padre mi accompagnò al conservatorio per parlare con i professori, i quali, causa una mentalità bigotta, mi dissero addirittura che ero vecchio per poter entrare e che quindi avrei dovuto acquistare uno strumento e prendere delle lezioni privatamente. Fu così che i miei mi acquistarono un sassofono usato per 200 mila lire, iniziai a prendere qualche lezione ma poco dopo continuai a studiare da autodidatta, negli anni avevo ascoltato talmente tanta musica, che avevo tutto in testa.

Emanuele Cisi

Tu hai scritto anche un libro: ”A cosa pensi quando suoni”, una vita in jazz. Ce ne vuoi parlare?

Mi é stato proposto da un amico, che dirige la collana dedicata alla musica di questa casa editrice che é la Blonk di Pavia, durante una videochiamata al quale era presente anche l’editore mi chiese se me la sentissi di scrivere un libro. Io, che in vita mia avevo scritto solo qualche articolo, gli chiesi un po’ di tempo per pensarci dopodiché accettai e devo dire che lo scrissi in pochissimo tempo, praticamente in due mesi. Perché anche lì, come nello studio della musica, avevo già tutto nella testa e quindi non ho fatto altro che trascrivere quello che avevo già dentro sulla carta. Nel libro ci sono riflessioni e stati d’animo, cose autobiografiche, ma anche riflessioni filosofiche su quello che vuol dire fare musica, produrre dei suoni, improvvisare e suonare con altri musicisti.

Tra i tanti giovani musicisti con cui avrai suonato o che ti sarà capitato di vedere all’opera, ce n’é qualcuno che ti ha colpito in modo particolare e che pensi che sicuramente emergerà?

Devo dire che io questo polso ce l’ho grazie all’insegnamento, insegnando al conservatorio a Torino sono molto a contatto con i giovani musicisti. Posso dirti che aldilà del talento straordinario che può capitare, oggi il livello medio dei studenti é molto alto grazie anche alla rete e all’accesso facile all’informazione e all’ascolto che c’é stato in questi ultimi 20 anni. Ma grazie anche, possiamo dire, al progredire della specie, nel senso che i giovani d’oggi sono molto più intelligenti rispetto alle passate generazioni. Ne ho visti passare molto di talenti notevoli e anche adesso ne ho un paio veramente molto bravi, ma da qua a dire quale futuro avranno non saprei dirti, anche perchè io non sono molto ottimista di fronte al movimento musicale italiano. Di fronte a giovani musicisti formati e pronti ad esibirsi purtroppo non corrisponde una scena musicale che li può accogliere degnamente a livelli di concerti e di ingaggi equi.

Danilo Bazzucchi