“Io e il Jazz: un amore nato poco a poco”


Una voce dalla forte comunicativa quella della cantante e compositrice italiana Chiara Izzi, trasferitasi a New York nel 2014, tre anni dopo che Quincy Jones le aveva assegnato il primo premio come miglior voce al Concorso Internazionale indetto dal prestigioso Montreux Jazz Festival. Nel 2020 viene premiata al prestigioso Independent Music Awards con il suo brano “Circles Of The Mind”, decretato come il migliore nella categoria Jazz with Vocals. È inoltre vincitrice di concorsi nazionali tra cui, Lucca Jazz Donna 2010, Chicco Bettinardi 2010 (terzo premio, sez.solisti) e Barga Jazz 2009 (sez.gruppi). La cantante ha già avuto occasione di calcare alcuni tra i più prestigiosi palchi della musica live statunitense e internazionale quali il Kennedy Center, il Birdland Jazz Club, l’Iridium, il Blue Note NY, il Montreux Jazz Festival, Aspen Jazz Festival, Ambasciata Italiana a Washington DC, Smalls, condividendo bands e progetti con luminari come Kevin Hays, Leon Parker, Ken Peplowski, Diego Figueiredo, Jeff Hamilton, Aaron Goldberg, Bruce Barth, Eliot Zigmund, Warren Wolf, e tanti altri. Come questo talento si sia evoluto da quando Chiara si è trasferita a New York è evidente nel suo ultimo lavoro discografico “Across The Sea” pubblicato nel 2019 dalle etichette italiane Jando Music/Via Veneto Jazz, e realizzato in collaborazione con il pianista americano Kevin Hays che dice di Chiara: “C’è un senso di sincerità e onestà, una mancanza di artificio. Ha una forza interiore che penso sia rara”. I due collaboratori del progetto affrontano brani e testi originali scritti da entrambi, e omaggiano autori e compositori per loro significativi quali James Taylor, Pat Metheny, Henry Mancini, regalando interpretazioni altamente personalizzate e impreziosite dal contributo di special guests del calibro di Chris Potter, Omer Avital, Grégoire Maret, Nir Felder, Rogério Boccato, e di una ritmica eccelsa tutta newyorchese (Rob Jost e Greg Joseph). Chiara sta già lavorando a nuovi progetti che includono un futuro album di musica originale con la sua band, e un album in duo registrato dal vivo con il pianista Andrea Rea e di prossima uscita per l’etichetta americana Dot Time Records. 


Allora Chiara tu sei nata in Molise, a Campobasso, ci racconti come sono stati i tuoi primi passi verso la musica, è stata una tua scelta cantare e suonare o magari in famiglia già c’era qualcuno che lo faceva e quindi ti ha “spinto” verso questa decisione?

La mia prima performance live l’ho fatta a otto anni. Fui spinta a farla dalla mia insegnante di catechismo che, immagino, aveva già notato le mie qualità canore e mi fece cantare dopo la celebrazione della mia prima comunione.  Questo ricordo mi fa pensare che siano stati gli insegnanti incontrati nei miei percorsi scolastici, che mi hanno spronato a dedicarmi alla musica. Non c’è mai stato nessuno della mia famiglia che mi abbia spinto a cantare o a suonare, anche perché nessuno era musicista o cantante. Quindi posso dire che la decisione di fare questo mestiere è stata del tutto spontanea.

Credo che il Jazz sia arrivato per caso nella mia vita……..

Ad un certo punto hai incontrato o scelto il Jazz come genere musicale, come ci sei arrivata?

La scelta del Jazz è stata casuale, nel senso che mentre ero alla ricerca di una scuola di musica dove poter studiare, avevo 17 anni, e un professore di musica del liceo mi consigliò di iscrivermi ad una scuola della mia città, la Thelonious Monk di Campobasso. Una scuola che, poi, ho scoperto essere una realtà molto importante per il Jazz nella mia regione.  Gli insegnanti di questa scuola mi hanno introdotto a questo genere, gli inizi non sono stati per niente facili, il mio orecchio non era abituato a certe sonorità e devo dire che con il jazz non è stato amore a prima vista. Poi però mi sono lasciata trasportare dalle esperienze che mi sono capitate e che mi hanno portato a fare del jazz la mia prima scelta musicale. Quindi credo che se il Jazz è arrivato per caso nella mia vita, poi ho scelto di continuare su questa vasta strada musicale perché probabilmente era quella che meglio assecondava la mia natura di persona curiosa, irrequieta, avventurosa e direi… intrepida.

Ti laurei in scienze della comunicazione, dopodiché ti iscrivi al conservatorio. Intanto ti esibisci, partecipi a concorsi e li vinci anche, tra cui il Montreux Jazz Festival (in Svizzera), una manifestazione molto prestigiosa dove sei stata premiata da Quincy Jones. Ci parli di questo periodo?

Vivendo a Campobasso, cercavo stimoli e il mio spazio musicale in Italia, e li cercavo facendo dei concorsi per farmi conoscere, allenarmi e creare nuovi contatti. Uno dei primi fu “Scrivere in Jazz”, dove in giuria c’erano Maria Pia De Vito e Norma Winstone: ricordo che ero molto spaventata ma quel primo concorso come altri a cui ho partecipato senza vincere premi si rivelarono grandi opportunità di crescita e perfezionamento. In seguito ho vinto il Barga Jazz 2009, e nel 2010 il Lucca Jazz donna e il Chicco Bettinardi (terzo premio), e successivamente, decisi di partecipare al Montreux Jazz Festival Vocal Competition 2011, in Svizzera, vincendolo e avendo la grande fortuna di incontrare ed essere premiata dal leggendario Quincy Jones (presidente di giuria del concorso in quella edizione). I concorsi li ho considerati sempre una sfida con me stessa e mai con gli altri, mi servivano per farmi conoscere al difuori della mia regione e per creare opportunità e così è stato. Infatti il Montreux Jazz Festival mi ha dato la possibilità di realizzare il mio primo album che mi ha portato a collaborare con l’etichetta americana Dot Time Records, che a sua volta mi ha aiutata ad approdare a New York. Quindi posso dire che tutto il periodo dei concorsi è stato propedeutico al mio trasferimento in America.

Poi il grande salto a New York, come è stato all’inizio conoscevi qualcuno, parlavi già inglese. Sei riuscita ad esibirti e quindi a lavorare subito o hai avuto difficoltà’?

Il salto a New York è stato preparato e programmato dopo l’esperienza avuta al Montreux Jazz Festival. Conoscevo un mio amico batterista, Luca Santaniello, anche lui molisano che viveva a New York da molti anni. Lui mi raccontava, quando tornava in Molise, di queste esperienze epiche, e di quanto fosse profonda la dimensione musicale che caratterizzava il jazz e la musica dal vivo a New York. Così nel 2014 mi sono trasferita anch’ io, non sapevo una parola d’inglese ed ero anche molto timida, il primo anno è stato molto duro, ma ho avuto la fortuna di cominciare da subito a lavorare, di vivere di musica, di concerti e d’ingaggi prettamente musicali, già dopo tre settimane dal mio trasferimento a New York. Quindi non ho avuto particolare difficoltà a lavorare e mantenermi con la musica.

Nel 2013 il tuo primo album “Motifs”, dove canti oltre che in italiano in spagnolo, portoghese e inglese. Nel 2019 esce “Across the sea”, un album molto bello, fatto insieme a Kevin Hays e impreziosito dal contributo di special guests del calibro di: Chris Potter, Omer Avital, Grégoire Maret, Nir Felder e Rogério Boccato. In mezzo immagino tanto lavoro e collaborazioni, ce ne vuoi parlare?

Lungo il mio percorso artistico ho avuto la fortuna, sin dall’inizio, di incontrare e collaborare con artisti e musicisti di alto calibro, sensibili e competenti. Vorrei citare, a proposito dell’album “Motifs”, il pianista Andrea Rea, il batterista Luigi del Prete, il contrabbassista molisano Nicola Corso che ora è anche mio marito. Dopo questo disco, nel periodo romano, voglio ricordare le mie insegnanti di canto Diana Torto, Cinzia Spata, il grandissimo Marco Tiso che mi ha insegnato tanto, riguardo l’orchestrazione e la composizione. Approdando a New York il mio primo mentore e collaboratore è stato Kevin Hays, poi altri quali Leon Parker e Jo Lawry. Ho avuto inoltre l’occasione di condividere musica con Aaron Goldberg, con i musicisti da te già citati (Chris Potter, Omer Avital, Grégoire Maret, Nir Felder e Rogério Boccato) e con cui ho realizzato “Across The Sea” (Jando Music/Via Veneto Jazz 2019), Ken Peplowski e il chitarrista brasiliano Diego Figueiredo, che mi ha coinvolto in molti suoi concerti e con cui ho viaggiato molto negli States.

New York si distingue perché da sempre è stata e continua ad essere una città aperta alla diversità, multiculturale, contaminata, che accetta e rispetta identità di ogni tipo.

L’America sta vivendo un momento politico particolare!  Molto spesso parli di multiculturalismo e contaminazione e si sente anche nei tuoi lavori. Credo che sia anche una caratteristica ben precisa della città dove vivi: New York. Che cosa puoi dirci in proposito

L’America sta senza dubbio attraversando un momento particolare e turbolento. Si respira un clima di divisione politica non indifferente, però credo che New York si distingua perché da sempre è stata e continua ad essere una città aperta alla diversità, multiculturale, contaminata, che accetta e rispetta identità di ogni tipo. Identità sotto il profilo artistico e umano. Si viene qui per questo desiderio di respirare aria di libertà di espressione e rispetto verso le altre culture. E io credo che New York ancora offra queste cose che sono fondamentali e prioritarie anche per me sul profilo personale e musicale. Questi elementi insieme al senso di ottimismo, alla voglia di mettersi in discussione, all’apertura e curiosità sono ciò che tengono alto l’umore, mantengono vive la mia creatività musicale e la determinazione, mi spingono a fare sempre meglio con entusiasmo e perseveranza. E poi, è da quando ho iniziato a fare musica che sono alla ricerca dell’incontro tra altre culture, lo faccio mescolando le lingue, lo faccio nel senso di cercare la contaminazione con altri musicisti di diversa estrazione musicale e culturale. La bellezza di New York dal punto di vista musicale è proprio questa, è il tipo di offerta così peculiare e nello stesso tempo vasta, di cui puoi fare esperienza.

Dal tuo osservatorio particolare d’oltre oceano, cosa pensi della condizione del Jazz in Italia? Come giudichi la situazione in generale?

Penso che la condizione del jazz in Italia goda di buona salute per la quantità enorme di musicisti e di talenti che abbiamo nel nostro paese. Questo mi fa stare tranquilla, come il fatto che ci siano fantastici musicisti e insegnanti che tramandano il verbo del Jazz e della buona musica. L’espressione estasiata che leggo negli occhi dei musicisti mentre mi raccontano di quanto sia meraviglioso per loro tenere concerti in Italia in locations mozzafiato, soprattutto d’estate e con tanta accoglienza da parte degli italiani, mi rende davvero felice e orgogliosa delle mie origini. E al di là del fatto che siano eventi o festival famosi o piccole rassegne, tutti i musicisti, rimangono colpiti dall’atmosfera, dall’intimità, dalla bellezza e modalità con cui si fa musica dal vivo in Italia. L’unicità di questi eventi resta indelebile nella memoria dei musicisti stranieri che hanno avuto occasione di suonare nel nostro Paese, e senza dubbio diventa un’esperienza da sogno per gli altri che sperano di essere chiamati a suonare in Italia. Spero che questa peculiarità dei concerti in Italia non venga mai persa. D’altro canto non si può far finta di non vedere la situazione molto complicata sia a livello economico che politico che affligge la condizione dei musicisti e della musica in generale in Italia.

Ho visto una tua foto, molto bella, dove stai preparando gli gnocchi.  Il tuo rapporto con la cucina com’è?

Il mio rapporto con la cucina è 60% mangiare e 40% cucinare, nel senso che sono impaziente per ciò che riguarda cucinare e preparare, e se sono da sola non cucino quasi mai per me stessa, con le dovute eccezioni. Mentre quando si tratta di mangiare, da buona italiana posso stare ore a tavola, soprattutto in compagnia senza annoiarmi, e continuerei a mangiare senza sosta. Mi sento più pasticcera che chef, perché mi piace molto fare dolci, ho proprio un debole, ne mangio un po’ quasi tutti i giorni (ahimé), soprattutto cioccolata. Ma sicuramente ho affinato anche le mie doti di cuoca, quindi so cucinare i piatti base e qualche piatto tipico della mia regione: al momento il mio forte sono la pasta ai cavolfiori, i peperoni ripieni e la pasta al forno, ma la lista è in crescita perché grazie alla pandemia sto praticando molto in cucina. Grazie a mia nonna ho anche imparato a fare gli gnocchi, che però dovrei fare più spesso per allenarmi ad impastare e per non dimenticare i suoi preziosi consigli.

Domanda finale, a parte la pandemia che speriamo finisca prima possibile, quali sono i progetti attuali e quali quelli futuri? E naturalmente il classico sogno nel cassetto.

La pandemia ha congelato alcuni progetti a cui stavo lavorando, primo fra tutti un disco live che spero esca presto, registrato con Andrea Rea, un mio caro amico e bravissimo pianista napoletano con cui collaboro da diversi anni. Si tratta di una registrazione live realizzata durante un concerto avvenuto presso lo “Studio Nord” di Brema in Germania. Il progetto sarà prodotto dall’etichetta americana Dot Time Records, e ne sono particolarmente entusiasta perché pubblicherò per la prima volta un disco registrato interamente live; tra l’altro questo album è composto da brani prettamente in italiano e spagnolo. Inoltre ho in programma di realizzare un altro album di musica originale composta da me in italiano e in inglese e da registrare con la mia band attuale newyorkese. I sogni nel cassetto con l’avvento della pandemia si sono momentaneamente ridimensionati, e nella mia top ten c’è quello di ritornare quanto prima al periodo pre-covid ma con più consapevolezza e senso di responsabilità riguardo agli avvenimenti e cambiamenti repentini e necessari di questa epoca che stiamo attraversando. Sogno di tornare a viaggiare, di fare musica dal vivo e mi auguro che in America, così come in Italia e in tutto il mondo, quando la pandemia sarà finita e finalmente potremo tornare ad abbracciarci tutti, la gente torni ad ascoltare musica dal vivo più di prima e a valorizzare gli artisti in generale. Spero che le cose belle e preziose della vita, come la musica e l’aria che respiriamo, non si diano più per scontate.

Danilo Bazzucchi