Jazz Around ha incontrato il giovane, ma già affermato, sassofonista romano. Abbiamo parlato dei suoi inizi con la musica, ma in particolare del suo ultimo lavoro:“Ensemble”, registrato insieme a vari musicisti, tra cui Danilo Blaiotta, Enrico Mianulli e Gegé Munari alla batteria.


Vittorio Cuculo, classe 1993, romano, è ormai una splendida realtà del sassofono Jazz italiano. Nel suo percorso musicale, c’è anche una borsa di studio alla prestigiosissima “Berklee College of Music” di Boston. Si è laureato presso la “Siena Jazz University” e diplomato al “Biennio Jazz” presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, con il massimo dei voti. Tra i tanti premi già vinti, ricordiamo quello di “Miglior Solista Strumentale” al concorso internazionale “Johnny Răducanu”, lo “European Jazz Award 2020” assegnatogli dal “Tuscia in Jazz Festival”, fino al recentissimo primo premio (ex aequo) ottenuto al “Concorso Nazionale Chicco Bettinardi – Nuovi Talenti del Jazz Italiano”, nella “Sezione Solisti”. L’ultimo lavoro uscito a maggio 2021 è “Ensemble”, un album composto da nove brani (uno ripetuto due volte, di cui un live: My Funny Valentine). Sei sono standard classici del jazz, uno (Brava, di Bruno Canfora) con l’arrangiamento di Riccardo Nebbiosi e la voce di Lucia Filaci, mentre i due brani: Io non Ridevo e Fuga di Notizie, sono originali, composti dal chitarrista Roberto Spadoni.


È da poco uscito il suo secondo lavoro, “Ensemble” (il primo album è stato Between), ed è composto da nove brani. Lei lo definisce un album “Caratterizzato da uno spirito di incontro, che rappresenta un’idea di aggregazione fra generazioni diverse ed esperienze differenti, generi e stili musicali anch’essi diversi, mettendo in risalto la dimensione del “Noi”, importantissima nel fare musica, perché ci unisce, ci consente di stare insieme. Ensemble è l’idea che il senso dell’appartenenza a un organismo più grande, in questo caso il jazz, debba essere recuperato e rinvigorito, donandogli acqua e linfa, così come si fa con una pianta, per farla crescere bella e robusta”. Vuole spiegare un po’ a tutti che cosa vuol dire?

Ensemble è una parola che evoca subito un insieme strumentale e quindi l’abbiamo usata anche in questo senso. Ma è stata utilizzata anche e soprattutto per sottolineare la dimensione comunitaria del lavoro, che si avvale dell’apporto creativo di tante mani, dall’orchestra al quartetto, alla voce di Lucia Filaci. Ripensandoci, il lavoro è stato abbastanza impegnativo, perché quando bisogna confrontarsi ed organizzarsi per dare modo a una ventina di musicisti di esprimersi (un quartetto, più i componenti della filarmonica, più un vibrafonista, una cantante, un arrangiatore che porta il suo contributo anche come chitarrista) le energie fisiche e mentali che si mettono in movimento sono tante e il rischio di essere dispersivi è forte. Alla fine, però, è prevalsa appunto quella dimensione del “noi”, e tutto, come per magia, si incastrato è nel modo giusto. Tutto ciò è accaduto, accade ed accadrà ancora non solo e non tanto per la volontà di un unico individuo che vuole raggiungere un obiettivo o una meta artistica, ma anche perché il jazz ha questo di speciale: è una singolare miscela di innovazione e tradizione che non smette mai di essere pulsante, perché quando ci si spinge avanti nella sperimentazione troppo individuale, fino a diventare individualistica, ecco far capolino il desiderio di guardare al contributo comunitario del fare musica, quando invece il giusto tributo alla tradizione diventa troppo schematico e formale, ecco che arriva la spinta creativa del singolo musicista ad immettere aria nuova nel circuito. È il fascino del jazz.

Parliamo di lei, dall’inizio di questa avventura. Seppure breve, ha appena 28 anni, ma già straordinariamente intensa. Come mai, da bambino, ha scelto la musica invece di qualcos’altro? E perché proprio il Sax?

In casa, fin da quando eravamo piccoli (ho anche un fratello violinista), è sempre circolata la musica classica, leggera, jazz. Mia madre è pianista ed insegna, mio padre è anche lui un grande appassionato. La musica è una dimensione vitale che ti cattura, ti cambia e non ti lascia andare. Come sono arrivato al sax? Beh, passando per la batteria e le percussioni classiche. Ho fatto il percussionista nella Junior Orchestra, un’orchestra classica giovanile dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, ho anche studiato la marimba ed ero arrivato ad usare due battenti per ciascuna mano. Poi un giorno, grazie a mio padre, ho ascoltato in un disco il sax di C. Parker ed è stata quasi una folgorazione, nel senso che da quel momento ho pensato solo al sax e a voler suonare il jazz.

Tornando a “Ensemble”, insieme a lei ci sono musicisti del calibro di Danilo Blaiotta e Enrico Mianulli, oltre la leggenda vivente della batteria: Gegè Munari. Ma vorrei ricordare anche la Filarmonica Sabina Foronovana, con il prezioso contributo dei suoi sassofoni, la splendida voce di Lucia Filaci (nel brano Brava), il bravo percussionista Dimitri Fabrizi nel brano Misty (con la Marimba) e Roberto Spadoni, chitarrista e arrangiatore, nei brani: Io non ridevo, Fuga di Notizie e Bye-Ya. Come è nata l’idea di questo gruppo, può parlarci di come è stato lavorare insieme?

L’idea è nata un po’ per caso e un po’ suggerita dalla riflessione che stavo facendo sul materiale del mio primo lavoro discografico Between. La sorte ha voluto che incontrassi la formazione di sassofoni Filarmonica Sabina Foronovana, con la quale ho avuto modo di registrare dal vivo, da solo senza il mio quartetto, una versione del brano My Funny Valentine (versione ora inclusa nel nuovo lavoro discografico) e da questo primo incontro è nata la spinta per una collaborazione più approfondita. Anche perché, ripensando allo spirito che animava il primo CD, sentivo il bisogno di sviluppare la tematica dell’incontro e quindi si è fatto largo l’idea di un nuovo progetto artistico che mettesse in evidenza l’aspetto comunitario del fare musica, la dimensione del “Noi”, che in Between era stata indicata come dialogo tra le diverse generazioni, quella di giovani musicisti come me (Danilo Blaiotta e Enrico Mianulli) con quella della storica colonna del jazz Gegè Munari.

Vittorio Cuculo

Abbiamo lavorato confrontandoci continuamente, cercando di rendere al meglio e di valorizzare sempre e comunque la musica che suonavamo. I brani che sono stati scelti per il disco sono stati selezionati in base a quello che è un po’ il mio e il nostro gusto musicale, e dalla voglia di creare una sonorità particolare con il quartetto, la voce e l’ensemble di sassofoni. La scelta dei brani da eseguire è stata abbastanza semplice, seppur comunque pensata e studiata in ogni dettaglio. La presenza di musicisti di grande esperienza come Gegè Munari, di importanti arrangiatori come Roberto Spadoni, Mario Corvini, Massimo Valentini e Riccardo Nebbiosi, e dei miei i colleghi ed amici Danilo Blaiotta e Enrico Mianulli, uniti all’Ensemble di sax e alla voce di Lucia Filaci, è stata una carta vincente.

Il suo percorso di studi musicali, comprende anche numerose borse di studio, tra le quali quella molto prestigiosa della “Berklee College of Music” di Boston. Ci racconta qualcosa del suo periodo “americano”?

Il periodo di studio al Berklee College of Music è stato, anche se breve, molto formativo perché per un diciassettenne trovarsi di fronte ad un universo come quello americano, che ha visto la nascita e il formarsi della musica per la quale ci si è messi a studiare, è veramente esporsi alla meraviglia e allo stupore di una prima volta che non ha eguali nella propria esperienza. Una nuova lingua, la frequenza di un master con docenti e musicisti affermati, un diverso modo di vivere e di guardare non solo alla musica ma al mondo e alle relazioni, tutto questo mi ha fatto crescere e spronato ad andare avanti, facendo nascere l’esigenza di confrontarmi con una cultura diversa e facendo maturare la consapevolezza che una delle caratteristiche della figura del musicista è quella di essere in movimento, esplorare nuovi orizzonti, sia musicali che umani, per conoscere nuove culture e persone diverse .

Veniamo da un periodo tristissimo per la musica e gli artisti in genere, anzi direi per tutti gli italiani. La gente si è incattivita, fortunatamente adesso siamo ripartiti quasi del tutto, come è stata la sua estate dei concerti e del lavoro in genere?

La pandemia ha colpito tutti, fisicamente, economicamente e psicologicamente. Un evento così disastroso non può che lasciare il segno. Alcuni colleghi hanno risentito del clima generato dalla pandemia, anche nella fase di creazione e di nascita dei brani. E non poteva essere diversamente. Sicuramente il settore dello spettacolo ha pagato un prezzo molto alto, però sono sicuro che la magia della musica riuscirà a farci superare la sofferenza patita, spingendoci ad una ripartenza carica di energia, positività e voglia di fare. Ho sperimentato come sia importante stare uniti, fare gioco di squadra. Questo è l’insegnamento che mi pare di poter cogliere dal periodo trascorso e che si spera sia alle nostre spalle.

Per quanto riguarda l’estate 2021, le mie uscite hanno visto la partecipazione al contest internazionale di Bucarest, dove la mia band ha ricevuto il premio di miglior gruppo, ad agosto ho presentato in quartetto il progetto Ensemble al festival Musica sulle Bocche in Sardegna e sempre in quartetto, ad agosto, al Tarquinia Jazz Summer 2021.

Il suo talento è molto apprezzato non solo in Italia, ma anche in varie parti del mondo, tra cui la Germania. Ci racconta qualcosa dei suoi concerti e delle sue esperienze nella terra di Goethe.

Quella con Ludovico Fulci, musicista, pianista compositore ed arrangiatore, per me è una collaborazione molto bella e proficua, anche perché con lui, musicalmente, mi trovo molto bene. La sua professionalità ed esperienza, maturate anche in Germania, mi aiutano a confrontarmi con il contesto europeo, avendomi fornito la possibilità di suonare più di una volta in un club tedesco, il Kaffethouse Mila di Berlino. In questo modo si ha l’occasione di esibirsi per un pubblico diverso, che non parla la tua lingua ma che comunque parla una lingua comune, che è la lingua del jazz. E al di là di tutto, in qualsiasi territorio, regione o nazione ci si trovi, la cosa più bella che si prova è constatare come la musica accomuni le tante persone che ci sono nel mondo.

Domanda finale: progetti attuali e progetti futuri e se ha un sogno nascosto che vorrebbe realizzare a tutti i costi.

Progetti per il futuro ci sono, ho già in mente un’idea da sviluppare per un prossimo progetto, ci devo lavorare in termini di realizzazione pratica, ma il seme dell’ideazione è già presente.  Intanto mi piacerebbe che questo secondo lavoro discografico potesse avere un riscontro positivo anche in termini di accoglienza nei festival, nelle sale da concerto o all’aperto, dove poterlo suonare, magari riuscire ad organizzare un piccolo tour. Sulla bontà del progetto, nelle note di copertina, si sono espresse figure importanti del jazz: Paolo Fresu, Stefano Di Battista e Eugenio Rubei.