Nato ad Atessa (CH), è considerato uno dei maggiori sassofonisti italiani della scena Jazz moderna, Max Ionata ha bruciato le tappe di una carriera vertiginosa conquistando in pochi anni l’approvazione di critica e pubblico, riscuotendo sempre grandi successi in Italia e all’estero. Ha condiviso il palco con artisti del calibro di Robin Eubanks, Reuben Roger, Clarence Penn, Lenny White, Billy Hart, Alvin Queen, e Joe Locke. Ai concerti fatti con Dino Piana, Roberto Gatto, Dado Moroni, Stefano di Battista, Giovanni Tommaso, Flavio Boltro, Furio di Castro, Fabrizio Basso si associano quelli fatti con Gegè Telesforo, Mario Biondi, Ornella Vanoni, Vinicio Capossella, Renzo Arbore, Sergio Cammariere. La sua musica ha superato i confini dell’Europa, fino ad arrivare in Giappone.  Grazie anche ad alcuni suoi album fortunati, il Paese del Sol Levante é ormai diventato una meta fissa delle sue tournèe internazionali.


Partiamo dall’inizio, tu sei nato ad Atessa (CH), a 10/11 anni ti sei avvicinato alla musica, cos’è che ti ha spinto a questa scelta e non magari al calcio che è il sogno più frequente dei ragazzi di quella età.

Per la verità con il calcio ci avevo anche provato, ma ero proprio una schiappa, diciamo che con la musica mi è andata meglio, è stato più facile e quindi ho sicuramente sposato quello che in quel momento mi veniva più naturale. In casa ho sempre avuto una tastierina, che mio padre mi comprò quando ero bambino, con cui ho iniziato a suonare le mie cose ad orecchio, si capiva che avevo la propensione per la musica. Da lì è iniziato un po’ tutto.

Dalla musica diciamo tradizionale sei passato al jazz, qual è stata la molla?

“In realtà per lo strumento che suono è un po’ un passaggio quasi obbligato, essendo il sassofono, forse più di altri strumenti, orientato verso il mondo jazzistico. I primi dischi che mi affascinarono furono quelli di Michael Brecker, Bob Mintzer, gli Yellowjackets, tutti progetti tendenti alla fusion, che all’epoca, parliamo degli anni ottanta, erano i gruppi più blasonati. Mi appassionai così tanto a questo genere che oltre ad ascoltarlo, lo suonicchiavo con degli amici in un garage tutti i pomeriggi dopo la scuola, cercavamo di scimmiottare questi grandi musicisti ma senza sapere proprio dove mettere le mani, perché nessuno di noi era un musicista professionista e non avevamo studi approfonditi della musica”.

Mi sono sempre chiesto cosa deve fare un musicista per tenersi in forma, voglio dire per quanto riguarda il tuo lavoro studierai e suonerai ogni giorno per tenerti in allenamento. Ma per quanto riguarda il fisico (nel tuo caso ci vuole molto fiato) fai allenamenti normali, particolari, oppure non fai niente.

Mangio bene (… ride)
Allenamenti fisici particolari ne ho fatti in passato per una dieta, ma per altri motivi che erano prettamente salutari e devo dire che in quel periodo ho perso parecchio peso, da 103 Kg sono sceso a 78 Kg, la fisicità era cambiata completamente e ho notato delle differenze addirittura sul suono del mio strumento; questa cosa mi ha fatto andare un po’ in crisi. Adesso ho ripreso un po’ di peso e credo di aver ritrovato il suono giusto, diciamo che ho trovato il giusto equilibrio. Ho poi riscontrato questa caratteristica anche in alcuni colleghi cantanti che mi hanno confermato questa teoria secondo la quale una variazione fisica come questa può modificare le sonorità vocali.

Tra i concerti in giro per l’Italia e non solo, lo studio e l’allenamento riesci a combinare anche un po’ di vita familiare? E se si come?

La famiglia per me è sempre stata molto importante perché il supporto che può darti nella quotidianità è fondamentale. Sono sposato e vivo il rapporto di coppia con molta intensità. Mia moglie partecipa attivamente alla mia attività artistica supportandomi spesso anche nelle scelte musicali. Per il resto conduco una vita assolutamente normale fatta di frequentazioni di amici, parenti e colleghi musicisti, quando ovviamente non sono impegnato per lavoro.

Guardando la tua biografia hai all’attivo tanti dischi, tantissime collaborazioni con artisti molto prestigiosi ed hai suonato, oltre che in Italia, in tanti paesi del mondo. Puoi farci, anche se sei ancora giovane, un primo bilancio della tua carriera.

Se guardo al mio passato mi rendo conto di aver suonato davvero tanto con tantissimi artisti in diverse parti del mondo, e forse questo dovrebbe già farmi sentire appagato, ma non è così perché si ha sempre la sensazione che manchi qualcosa, che ci sia qualcos’altro da scoprire, altrimenti non avrebbe più senso studiare tutti i giorni e cercare di migliorarsi, c’è sempre la possibilità di fare meglio, sia nel lavoro che nella vita.

Sempre riguardo alle innumerevoli collaborazioni che hai fatto con tanti tuoi colleghi, immagino che dirai che ti sei trovato bene con tutti, ci dici qualche nome in particolare con cui ti sei trovato bene veramente e magari sei anche amico?

Io sono amico con tutti e mi sono trovato bene con tutti, ma le esperienze più belle le ho avute con i batteristi. Ho avuto la fortuna di suonare con i più grandi nomi della batteria a partire da Alvin Queen, Lenny White, Billy Hart, Clarence Penn, tutti giganti di questo strumento, con i quali ho avuto il piacere di condividere il palco.

In uno dei tanti tour con Alvin, un progetto dedicato al repertorio delle musiche originali di John Coltrane, ricordo di aver avuto la sensazione che ogni nota che io suonassi venisse fuori da sola, senza sforzo, tanta era la spinta che mi arrivava dalla sezione ritmica. Insieme a lui c’erano anche due grandi musicisti, Dado Moroni e Marco Panascia, suonammo al Duc Des Lombards di Parigi e alla radio nazionale svizzera di Losanna, oltre che in vari jazz clubs del nord Europa.

Così come quando suonai con Billy Hart, eravamo in trio con Dario Deidda in un festival qui in Italia, lui non ci conosceva ed era un po’ diffidente. La band era stata messa insieme dall’organizzatore del festival, pare a sua insaputa. Billy ci disse: “Va bene, ci vediamo al sound check e poi vediamo”. Prima di iniziare le prove ci chiese: “Che cosa suoniamo?” Noi gli proponemmo dei brani e lui, mentre montava la batteria, ci disse: “Va bene, fatemi sentire”. Noi iniziammo a suonare e vedemmo che lui piano piano cambiava aspetto diventando sempre più sorridente e amichevole. Fu un bellissimo concerto, da quella sera nacque una bella amicizia che è rimasta viva ancora oggi.

Classica domanda finale: progetti attuali, progetti futuri e se hai un sogno nel cassetto, qual è?

Progetti attuali, sto portando avanti un progetto con due grandi musicisti danesi, Martin Andersen e Jesper Bodilsen; con loro abbiamo già suonato in diversi tour tra Italia, Spagna e nord Europa. A dicembre registreremo qui a Roma il nostro primo disco, questo è uno dei progetti a cui tengo particolarmente.

Sto preparando anche un altro disco in quartetto con musicisti italiani: Luca Mannutza, Daniele Sorrentino e Marcello di Leonardo, sarà un tributo a Kenny Wheeler in forma di suite che comprenderà quattro brani miei e quattro di Kenny.

Ho in progetto di registrare anche un disco in Francia con il mio quartetto francese, ma per adesso sono ancora bloccato dalle note restrizioni dovute alla pandemia.

Il mio sogno nel cassetto è sempre lo stesso: suonare e continuare a farlo fino alla fine, io non do mai nulla per scontato e sono consapevole del fatto che un giorno, spero il più tardi possibile, potrebbe succedere che la musica jazz perda il suo appeal con il pubblico, lasciando spazio a nuove forme d’arte. Per ora continuo a godermi tutto il calore che mi arriva dal pubblico ai miei concerti e poi si vedrà.

Danilo Bazzucchi