Se si guarda alla lunga tradizione del piano trio i raffronti possibili diventano molteplici. Del resto, un giovane triunvirato di belle speranze deve pur avere un punto di partenza o una rampa di lancio da cui decollare. Nel caso dei Blewitt, l’area di decollo e i punti di fissaggio e rifornimento non appaiono distintamente nitidi, nonostante le influenze indirette, ad esempio, siano ravvisabili nella scelta degli standard.

Pur avendo fatto ancora poca strada insieme i tre giovani compagni di viaggio sembra che abbiano già individuato la direttrice di marcia da seguire. Stefano Proietti al pianoforte, Oscar Cherici al basso elettrico e Gian Marco De Nisi alla batteria, sono tre giovani virgulti con una visione dello scibile sonoro ampia e variegata: studi regolari alle spalle, qualche trofeo in bacheca e qualificate collaborazioni da riportare nel curriculum. La terna, sommati i singoli dati anagrafici, non raggiunge i cento anni di età, ma la progettualità dei Blewitt, per contro, appare già alquanto matura e le finalità da perseguire piuttosto chiare, ossia creare una melting-pot sonoro tra jazz, contemporary-song e tradizione eurodotta. Un progetto che i tre sodali mettono in essere attraverso ricerche compositive, brani originali e l’arrangiamento rigenerativo di standard riadattati al loro mood espressivo ed esecutivo, cercando di fondere a caldo il vissuto precedente del jazz con le ritmiche contemporanee, dal new-soul alle sonorità mediterranee e alle atmosfere nordiche, dalla frange più estreme dell’avanguardia ai classici jazz.

Tutto il loro credo è convogliato in questo nuovo album, un concept imperniato su componimenti originali a firma Proietti, Cherici e De Nisi, nonché due standard rivisitati con un’impronta decisamente personale: «Footprints» di Wayne Shorter e «Passion Dance» di McCoy Tyner, nei quali si smarcano subito dal semplice tentativo manieristico, formale ed ossequioso, ma deviano il flusso sonoro in un canale che scorre su un terreno più impervio e meno prevedibile rispetto al modulo adattivo della cover tributaria. «Questo è un progetto in cui abbiamo creduto da sempre, dichiarano i tre giovani Blewitt, con sacrificio e tanto lavoro. Speriamo con questo album di trasmettere compiutamente la nostra idea ed identità musicale, basata sulla ricerca compositiva e la fusione dei linguaggi. Esplorare nuovi confini, come dichiara il titolo dell’album, è il nostro motto sin dal nostro primo incontro, un viaggio dal forte valore umano e sociale, che si pone l’obiettivo di andare oltre i confini dei generi e delle etichette e per fortuna, la musica permette tutto questo, essendo l’unico linguaggio compreso da tutti». In effetti, i tre giovani musicisti pur mantenendosi nell’ambito di un linguaggio ideomatico e rispettoso dei canoni del jazz straight-ahead, riescono ad evitare il ricalco calligrafico dei modelli precedenti ed a muoversi sul piano inclinato di un’originalità esecutiva che risalta sin dalle prime note dell’album.

«Exploring New Boundaries» è il loro vero album d’esordio. Pubblicato da Neuklang e ADA Music (Warner Music Group), l’elaborato strumentale segue le tracce del primo disco, quasi un test, un breve EP uscito nel 2022 con il titolo «Overture», fondamentalmente servito a sondare il terreno ed a raccogliere una prima messe di consensi tra appassionati e addetti ai lavori. La solidissima preparazione accademica ed una notevole conoscenza dello scibile sonoro consente loro notevoli variazioni stilistiche che vanno idealmente dall’Esbjorn Svensson Trio fino alla lunga tradizione jazz americana ed afro-americana, ma senza mai fissare troppo lo specchietto retrovisore della storia. L’intero costrutto sonoro si dipana attraverso una metodologia non facilmente circoscrivibile, da cui emerge distintamente anche un tratto del tutto caratteristico e distinto. Il lavoro è ineccepibile sotto il profilo della qualità sonora, forte delle registrazioni effettuate presso i Bauer Studios di Ludwigsburg in Germania.