In un tempo in cui la musica corre veloce, Joe Barbieri continua a camminare in punta di piedi, custodendo con grazia il silenzio tra le note. Cantautore, compositore, produttore e artigiano del suono, Barbieri è una voce fuori dal coro: capace di attraversare continenti e generi mantenendo intatta la propria identità. Dalla Napoli di Pino Daniele fino alle platee del Giappone, dal tributo a Chet Baker alla canzone napoletana più autentica, ogni suo passo è un gesto di ascolto e di bellezza. In questa conversazione ripercorriamo il suo straordinario viaggio artistico, dalle origini alle stelle

Molti dei tuoi album sono attraversati da una vocazione narrativa. Pensi alla musica come a una forma di cinema per l’anima?

Per me il cinema è sempre di più una forma d’arte, che mi attrae molto, a cui applicare la musica. E’ da molto tempo che non solo quando scrivo, ma anche quando penso alla produzione e all’orchestrazione dei brani tendo ad immaginarli come fossero delle colonne sonore. E poi, nei prossimi anni, mi piacerebbe saltare il fosso, passare dall’altra parte e mettermi a scrivere proprio colonne sonore per i film. Quindi la domanda mi sembra molto pertinente.

Il concept di “Big Bang” tocca l’astronomia, ma anche il viaggio e il rischio. Quale tra questi temi senti più urgente nel tuo presente?

Proprio il presente, perché il mio presente è molto centrato sul quì e ora. Vivo il viaggio come un susseguirsi di attimi presenti senza particolari nostalgie per il passato e senza eccessive pressioni per un futuro che deve ancora arrivare. Quindi il presente con tutti i suoi punti di domanda e le sue incertezze è quello che sento emergere di più e me lo vivo al meglio che riesco.

Hai definito “Big Bang” il tuo disco più luminoso, persino da ballare. È un cambio di passo rispetto al passato o una nuova parte di te che hai deciso di mostrare?

Credo entrambe le cose. Intanto questo disco si chiama così perché il Big Bang per come lo conosciamo noi è praticamente l’inizio di tutto e la vita è un eterno ricominciare, ripartire dal nulla, con la percezione di non avere certezze granitiche da poter spendere. Ecco quindi che in questo disco mi sono buttato senza troppi timori, senza calcoli e soprattutto senza difendermi. Da una parte è un nuovo lato del 51enne che sono, dall’altra un nuovo passo richiesto dall’attuale presente.

Big Bang” nasce dalla tua passione per l’astronomia. Cosa rappresenta per te guardare verso il cielo, nella musica e nella vita?

Guardare l’infinitamente grande, l’inafferrabile è un po’ guardare dentro se stessi. Credo che ci sia un parallelismo, il microcosmo e il macrocosmo credo che si lambiscano, si sfiorino. Sono convinto che ci siano dei punti di contatto tra la sensazione di stupore, di meraviglia, di non conoscenza quando provi a guardare dentro se stessi.

Il tuo esordio fu sotto la guida di Pino Daniele. Qual è l’eredità più viva che ti ha lasciato quell’incontro?

Senza dubbio l’invito alla mescolanza, a non aver timore a mischiare le culture, le proposte e le idee. Pino in questo è stato uno dei più grandi che abbiamo avuto in Italia e per quanto mi riguarda la sua lezione è sempre molto, molto viva.

Dalla world music al jazz, passando per la canzone napoletana: come scegli le strade sonore da percorrere senza mai perdere coerenza?

Semplicemente lasciandomi guidare dall’amore che provo per le cose che hai appena elencato. Man mano che il percorso si snoda, si snocciola, emergono dei bisogni e cerco di seguirli, di lasciarmi guidare da quelle sensazioni di necessità che poi portano ad un disco, ad un progetto o a una tournè. Anche la scelta delle canzoni all’interno dei singoli progetti ha la stessa logica, che poi non è una logica.

Negli anni hai collaborato con giganti della musica internazionale. Qual è l’incontro che ti ha cambiato di più umanamente?

Pino Daniele, senza dubbio. Tutti mi hanno dato qualcosa, degli spunti musicali, delle riflessione con cui sono migliorato. Ma Pino rimane Pino e se non fosse esistito lui non sarei esistito io.

Hai dedicato due dischi a Chet Baker e Billie Holiday. Cosa ti spinge a confrontarti con questi numi tutelari, e cosa hai scoperto di te stesso, omaggiandoli?

Intanto più che un’esigenza o un confronto, che non può esistere, direi che sono stati due dischi di gratitudine così come è stato di gratitudine l’omaggio alla canzone napoletana a cui facevi menzione poco fa. Sono tre dischi che sentivo di dovere a coloro che sono stati omaggiati, perché sia Chet Baker che Billie Holiday, nell’ambito del jazz, mi hanno insegnato e formato e quindi sono stati dei dischi per dire loro grazie.

Hai composto per il teatro e per la televisione. Com’è stato scrivere musica al servizio di un personaggio o di una storia altrui?

Molto bello, a me è sempre piaciuto scrivere storie. Sostanzialmente anche quando compongo canzoni scrivo storie, me le immagino, provo a seguire un filo rosso che si palesa e di andargli dietro con fiducia. Avere la fiducia di questi due autori, come Diego Da Silva che è il padre dell’Avvocato Malinconico e di Massimiliano Gallo, che è l’interprete e colui che ha dato la faccia a questo personaggio, mi ha molto onorato e stimolato e mi ha regalato un’estate di scrittura furiosa, perché tutto il materiale che è stato utilizzato per questa pièce teatrale è nato nel giro di due mesi.

Hai citato la poesia “Itaca” di Kavafis come una bussola per il tuo percorso. Qual è il verso che più ti accompagna oggi?

E’ quello che dice: di notte farai il viaggio. Per parafrasare un po’ De Andrè, che diceva che la stessa ragione del viaggio è viaggiare. Il viaggio ha bisogno del suo tempo, dei suoi errori, di imboccare le strade sbagliate, per poi redimersi, correggersi e quindi nel viaggio, piuttosto che la destinazione, c’è qualcosa e io voglio godermi quel qualcosa e voglio viverlo appieno.

Nel videoclip di “Poco mossi gli altri mari” sembri affermare che l’instabilità è una condizione necessaria per partire. Anche per te vale nella vita, oltre che nell’arte?

Sì, certo. Ma vale anche nella fisica, se non c’è una condizione di squilibrio non c’è movimento. Allora benedetto quel disequilibrio alla ricerca di un equilibrio che probabilmente non arriverà mai.

Se il tuo prossimo messaggio potesse davvero raggiungere forme di vita lontane anni luce, quale canzone di Big Bang vorresti che ascoltassero per capire chi è Joe Barbieri?

Io sono legato proprio ad Anni Luce, che è una di quelle canzoni, tra le centinaia che ho composto, che dopo aver scritto il primo verso già sai che tutto il resto che si porterà appresso sarà qualcosa d’importante e questo è una cosa rara. E questo brano lo sento in maniera particolare per me e per la mia vita.

Dopo trent’anni di carriera, che cos’è oggi la bellezza per Joe Barbieri? E che ruolo ha nella tua musica?

La bellezza, insieme alla purezza, rimane per me la bussola, uno dei pochissimi punti fermi. Non potrei mai accettare di fare una cosa che non sia bella, almeno nelle intenzioni.

Danilo Bazzucchi – Francesco Cataldo Verrina